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La magia dei desideri realizzati, non è utopia, non sono loro a non esistere, ma siamo noi che li blocchiamo smettendo di crederci. (Ejay Ivan Lac)
 
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  STORIA DEL TERZO VECCHIO E DELLA PRINCIPESSA SCIRINA

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 STORIA DEL TERZO VECCHIO E DELLA PRINCIPESSA SCIRINA Empty
MessaggioTitolo: STORIA DEL TERZO VECCHIO E DELLA PRINCIPESSA SCIRINA    STORIA DEL TERZO VECCHIO E DELLA PRINCIPESSA SCIRINA Icon_minitimeDom Gen 10, 2016 4:28 pm

 STORIA DEL TERZO VECCHIO E DELLA PRINCIPESSA SCIRINA 1681

Io sono figliuolo unico d’un ricco mercante di Surate.
Poco tempo dopo la sua morte, dissipai la miglior parte
dei molti beni ch’egli mi aveva lasciati, e terminava di
consumarne il resto cogli amici, allorché trovossi per
caso alla mia mensa un forastiero che passava per Surate,
per andare all’isola di Serendib. La conversazione cadde
sui viaggi. Se si potesse — soggiunsi sorridendo — andare
da un capo all’altro della terra senza fare cattivi incontri
per istrada, domani ancora io uscirei di Surate.
A queste parole lo straniero mi disse:
— Malek, se avete voglia di viaggiare, v’insegnerò,
quando vogliate, un modo di andare impunemente di regno
in regno.
Dopo il pranzo, mi prese in disparte per dirmi che
l’indomani mattina si recherebbe da me.
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Venuto infatti a ritrovarmi, mi disse:
— Voglio mantenervi la parola: mandate da un vostro
schiavo a chiamare un falegname, e fate sì che tornino
ambedue carichi di tavole.
Giunti che furono il falegname e lo schiavo, lo straniero
disse al primo di fare una cassa lunga sei piedi e
larga quattro. Il forestiere, dal canto suo non stette in
ozio, fece parecchi pezzi della macchina, come viti e
molle, lavorando ambedue tutto il giorno; dopo di che il
falegname fu licenziato, e lo straniero passò il giorno seguente
a distribuire le molle ed a perfezionare il lavoro.
Finalmente il terzo giorno trovandosi terminata la
cassa, fu coperta con un tappeto di Persia, e portata in
campagna, dove recatomi col forestiero questi mi disse:
— Rimandate i vostri schiavi e restiamo qui soli.
Ordinai a’ miei schiavi di tornare a casa, e solo restai
con quello straniero. Mi affannava per sapere cosa
farebbe di quella macchina, allorché vi entrò dentro, e in
pari tempo la cassa si alzò da terra volando per l’aria
con incredibile celerità; e sicché in un momento fu lungi
da me, per poi un istante dopo tornare a discendere a’
miei piedi.
— Voi vedete, — mi disse il forastiero uscendo dalla
macchina — una vettura assai comoda; vi faccio [32]
dono di questa cassa; ve ne servirete se vi pigli la voglia,
quando che sia, di percorrere i paesi stranieri.
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Ringraziai lo straniero e gli diedi una borsa di zecchini.
— Insegnatemi — gli domandai poi — come si fa a
mettere in moto la cassa?
— È cosa che imparerete presto, — mi rispose.
Così detto mi fece entrare nella macchina con lui,
poi toccata una vite fummo tosto sollevati in aria: allora
mostrandomi in che modo si avesse a condursi per dirigersi
sicuramente:
— Girando questa vite — mi diceva — andrete a destra,
e girando quest’altra, andrete a sinistra: torcendo
questa molla, salirete; toccando quella là, discenderete.
Volli farne il saggio io medesimo. Girai le viti, e toccai
le molle; ed infatti la cassa, obbediente alla mia
mano, andava secondo che mi piaceva e mi precitava a
mio piacere o rallentava il movimento. Fatte alquante
giravolte per l’aria, spiccammo il volo verso casa, e andammo
a scendere nel mio giardino. Fummo a casa prima
de’ miei schiavi; feci chiuder la cassa nel mio appartamento,
ed il forestiere se ne andò. Continuai a divertirmi
co’ miei amici sino a tanto che ebbi terminato di
mangiare il mio patrimonio; incominciai anche a prendere
in prestito, sì che insensibilmente mi trovai carico
di debiti. Vedendomi vicino a soffrire dispiaceri ed affronti,
ricorsi alla mia cassa; la trascinai di notte tempo
dal mio appartamento in una corte, mi vi chiusi dentro
con dei viveri ed il poco denaro che mi rimaneva. Toc-
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cai la molla che faceva ascendere la macchina: poi girando
una vite, mi allontanai da Surate e da’ miei creditori.
Feci, durante la notte, andare la cassa più velocemente
possibile. Allo spuntar del giorno, guardai per un
buco, ma non vidi che montagne, che precipizi, e una
campagna arida.
Continuai a percorrere l’aria tutto il giorno e l’indomani
mi trovai sopra un bosco foltissimo, presso al quale
era un’assai bella città. Mi fermai per considerare la
città, non meno che un palazzo magnifico che presentavasi
a’ miei occhi, quando vidi un contadino nella campagna
che lavorava la terra. Discesi nel bosco, e lasciatavi
la cassa, mi avanzai verso l’agricoltore, al quale domandai
come si chiamasse quella città.
— Giovane — quegli mi rispose — si vede bene che
siete forestiero poiché non sapete che questa città si [33]
chiama Gazna. Quivi fa il suo soggiorno il buono e valoroso
re Bahaman.
— E chi alberga — gli chiesi — in quel palazzo?
— Il re di Gazna — rispose l’ha fatto fabbricar per
tenervi rinchiusa la principessa Scirina sua figliuola, dal
suo oroscopo minacciata d’esser ingannata da un uomo.
Ringraziai il contadino di avermi istruito di tutte
queste cose, e volsi i passi verso la città. Com’era presso
ad entrarvi, udii un gran rumore, e presto io vidi comparire
parecchi cavalieri magnificamente vestiti, tutti montati
sopra bellissimi cavalli, riccamente bardati. In mez-
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zo a quella superba cavalcata eravi un uomo grande che
teneva in testa una corona d’oro, i cui abiti erano sparsi
di diamanti; giudicai che fosse il re di Gazna e seppi infatti
nella città che non mi ero ingannato.
Fatto il giro della città, mi risovvenni della mia cassa;
uscito da Gazna, non acquietai l’animo sin che non
fui giunto dove si trovava.
Allora ripigliai la mia tranquillità; mangiai con molto
appetito quel che mi restava di provvigioni e siccome
capitò presto a notte, determinai di passarla in quel bosco.
Non mi riuscì di addormentarmi: ciò che il contadino
mi aveva narrato della principessa Scirina mi stava
senza posa fitto nel pensiero.
A forza di pensare a Scirina, che io mi dipingeva più
bella di quante mai donne avessi vedute, mi venne voglia
di tentare la fortuna.
— Bisogna — dissi tra me — che mi trasporti sul
tetto del palazzo della Principessa, e procuri d’introdurmi
nel suo appartamento; chi sa che non abbia la ventura
di piacerle?
Formai dunque la temeraria risoluzione e la posi sul
momento ad effetto. Sollevatomi in aria, condussi la mia
cassa verso il palazzo. Passai senza essere scorto sopra
la testa dei soldati, e discesi sul tetto. Uscito dalla cassa,
sdrucciolai dentro per una finestra, entrando in appartamento
adorno di ricche suppellettili, dove sopra un sofà
di broccato riposava la principessa Scirina, che mi parve
di abbagliante bellezza.
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Me le accostai per contemplarla: mi posi poi ginocchioni
a lei dinanzi, baciandole una di quelle bellissime
mani.
Destossi sul momento, e scorgendo un uomo in [34]
atteggiamento d’intimorirla, diè un grido che presto attrasse
presso di lei l’aia, la quale dormiva in una stanza
vicina.
— Mahpeiker — le disse la Principessa — accorrete
in mio aiuto; ecco un uomo; come poté egli introdursi
nel mio appartamento? O piuttosto, non siete voi complice
del suo misfatto?
— Chi, io? — ripigliò la governante — Ah! questo
sospetto mi oltraggia: non istupisco meno di voi di vedere
qui questo giovane temerario; d’altra parte, quando
pure avessi voluto favorire la sua audacia, come avrei
potuto ingannare la Guardia vigilante che sta intorno al
castello? Sapete che vi sono venti porte di acciaio da
aprire prima di giunger qui; che sopra ogni serratura sta
impresso il regio sigillo, e che il re vostro padre ne tiene
le chiavi: non comprendo in qual maniera questo giovane
abbia superate tante difficoltà.
Intanto che l’aia parlava in tal guisa, io pensava a
quello che avessi a dire. Mi venne in mente di persuaderla
d’essere il profeta Maometto.
— Bella Principessa — dissi dunque a Scirina —
non istupite, e neppure voi, Mahpeiker, se mi vedete
comparire qui. Io sono il profeta Maometto, e non ho
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potuto, senza pietà vedervi condannata a passare i bei
giorni vostri in un carcere, e vengo a darvi la mia fede
per mettervi al sicuro della predizione di cui si spaventa
Bahaman vostro padre. Mettete ormai, come lui, lo spirito
in calma sul vostro destino ch’essere non saprebbe
se non pieno di gloria e di felicità, poiché sarete sposa a
Maometto. Tosto che sia sparsa nel mondo la nuova del
vostro maritaggio, tutti i Re temeranno il suocero del
gran Profeta, e tutte le principesse v’invidieranno sì
gran sorte.
Mahpeiker e la principessa prestarono fede alla mia
favola.
Passata la miglior parte della notte colla principessa
di Gazna, uscii prima di giorno dal suo appartamento,
non senza prometterle di tornare l’indomani. Corsi al
più presto alla macchina, e postomici dentro, mi sollevai
altissimo per non esser veduto dai soldati.
Andato a discendere nel bosco, vi lasciai la cassa e
presi la via della città, ove comprai delle vettovaglie per
otto giorni, degli abiti magnifici, un bel turbante di tela
delle Indie a righe d’oro, con una ricca cintura; né dimenticai
le essenze ed i profumi migliori, impiegando in
queste spese tutto il mio denaro.
[35] Rimasi tutto il giorno nel bosco ad abbigliarmi e
profumarmi. Appena giunta la notte, entrai nella cassa e
volai sul tetto del palazzo di Scirina, introducendomi nel
suo appartamento come la notte precedente. La Principessa
dimostrò come mi attendesse con molta impazienza.
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— O gran Profeta! — mi disse — incominciava ad
inquietarmi, e temeva che aveste già dimenticata la vostra
sposa. Ma ditemi, perché avete l’aspetto così giovanile?
Io m’immaginava che il profeta Maometto fosse
un vegliardo venerabile.
— Né v’ingannate — le dissi — ed è l’idea che aver
si deve di me; e se vi comparissi dinanzi qual apparisco
talvolta ai fedeli a’ quali mi compiaccio di fare un simile
onore, mi vedreste una lunga barba bianca: ma mi è parso
che voi amereste una figura meno antica, e per questo
presi la forma d’un giovane.
Uscii nuovamente dal Castello sulla fine della notte,
e vi tornai l’indomani sempre conducendomi così destramente,
che Scirina e Mahpeiker non sospettarono nemmeno
che vi potesse essere nel fatto nessun inganno.
Al termine di alcuni giorni, il re di Gazna recossi,
seguito da’ suoi ufficiali, al Palazzo della Principessa
sua figliuola, e trovandone le porte ben chiuse, ed il suo
sigillo sulle serrature, disse a’ suoi Visir che lo accompagnavano:
— Tutto cammina per il meglio. Sinché le porte del
palazzo rimarranno in questa condizione, poco temo la
disgrazia ond’è minacciata mia figlia.
Salì solo all’appartamento di Scirina, che, al vederlo,
non poté non turbarsi, ed egli avvistosene, volle saperne
la cagione; curiosità che accrebbe il turbamento della
principessa, la quale vedendosi finalmente obbligata, ad
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appagarlo, gli narrò tutto quanto era corso. Si può immaginarsi
qual fu lo stupore del re Bahaman, allorché seppe
di essere, all’insaputa sua, suocero di Maometto.
— Ah! quale assurdità — esclamò egli — ah figlia,
quanto siete credula! O cielo! ben veggo presentemente
come sia inutile voler evitare le disgrazie che tu ci riservi;
l’oroscopo di Scirina è compiuto, un traditore l’ha
sedotta!
Così dicendo, uscì agitatissimo dall’appartamento
della Principessa, e visitò da cima a fondo tutto il palazzo.
Ma ebbe un bel cercare per ogni dove; che non iscoprì
traccia veruna del seduttore.
[36] Per dove — chiedeva egli — può essere entrato
l’audace in questo castello? Davvero ch’io nol so comprendere.
Bahaman, attendendo la notte, si diede nel frattempo
a fare nuove interrogazioni alla Principessa, domandandole
prima di tutto se avesse mangiato con lei.
— No, o signore — gli disse la figliuola — indarno
gli ho offerto vivande e liquori; non ne ha voluto, e dacché
viene qui, non l’ho veduto mai prender cibo di sorta.
Frattanto capitò la notte. Sedutosi Bahaman sur un
sofà, fece accendere i lumi che furongli posti davanti sopra
una tavola di marmo, mentre egli sguainò la spada,
per servirsene al caso, lavando nel sangue l’affronto fatto
all’onor suo. Un lampo che ferì gli occhi del Re lo
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fece rimbalzare, onde si avvicinò alla finestra per la
quale gli raccontò Scirina ch’io doveva entrare e vedendo
il cielo tutto di fuoco, gli si turbò l’immaginazione.
Nella disposizione in cui trovavasi l’animo del Re, io
poteva presentarmi impunemente dinanzi a quel principe,
ed anzi, lungi dal dimostrarsi furibondo allorché io
apparvi alla finestra, si trovò tutto compreso da rispetto
e timore; per modo che, lasciatasi cader di mano la sciabola
e, cadendomi a’ piedi, me li baciò, e mi disse:
— O gran Profeta! Chi sono e che ho io meritato per
meritar l’onore d’esservi suocero?
— O gran re — gli dissi rialzandolo — voi tra tutti i
principi musulmani siete il più attaccato alla mia religione:
per conseguenza chi più dev’essermi gradito! Era
scritto sulla tavola fatale che vostra figlia sarebbe sedotta
da un uomo, il che i vostri indovini hanno benissimo
scoperto mediante i lumi dell’astrologia: ma io pregai
l’altissimo Allah di risparmiarvene il dispiacere mortale,
e togliere simile disgrazia alla predestinazione degli uomini;
il che egli si compiacque di fare per amor mio, a
condizione che Scirina diventasse una delle mie mogli.
Credette il debole Principe tutto ciò che gli dissi, e
beato d’imparentarsi col gran Profeta mi si gettò una seconda
volta ai piedi, per attestarmi il sentimento che aveva
della mia bontà. Lo rialzai di nuovo, lo abbracciai, e lo
assicurai della mia protezione, intanto ch’egli non sapeva
trovar termini a suo grado abbastanza forti per ringraziar-
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mene. Dopo di che, credendo che fosse creanza il lasciarmi
solo con sua figlia, si ritirò in altra stanza.
[37] Rimasi con Scirina alquante ore: ma al finir
della notte, me ne tornai al bosco.
Nel medesimo giorno avvenne un incidente che terminò
di raffermare il Re nell’opinione sua. Mentre egli
tornava col suo seguito alla città li sorprese nella pianura
un temporale, durante il quale mille lampi gli coprirono
gli occhi.
Accadde per caso che il cavallo di un cortigiano, incredulo
a ciò che riguardava il preteso Profeta, adombrasse;
s’impennò e gettò per terra il padrone che si ruppe
una gamba.
— O miserabile! — esclamò il Re, vedendo cadere
il cortigiano — ecco il frutto della ostinazione nel non
volermi credere che il Profeta ti punisce.
Portarono il ferito a casa sua, e non fu Bahaman sì
tosto nel suo palazzo che fece pubblicare un bando per
Gazna, col quale diceva esser suo volere che tutti gli
abitanti celebrassero con grandi feste il matrimonio di
Scirina, con Maometto.
Si fecero pubbliche allegrezze, ed udivasi da per tutto
gridare:
— Viva Bahaman suocero del Profeta!
Tosto capitata la notte, volai al bosco, e presto fui
dalla Principessa.
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— Bella Scirina — le dissi entrando nel suo appartamento
— voi non sapete ciò che oggi è accaduto nella
spianata. Un cortigiano il quale dubitava che voi aveste
sposato Maometto, espiò il suo dubbio; suscitai una
tempesta della quale il suo cavallo si spaventò; ed il cortigiano
caduto, si spezzò una gamba.
Passato quindi alcune ore colla Principessa, me ne
partii.
Il giorno dopo il Re riunì i suoi Visir e i suoi cortigiani:
— Andiamo tutti insieme — disse loro — a chieder
perdono a Maometto pel disgraziato che negò di credermi,
ed ebbe il gastigo della sua incredulità.
In pari tempo, montati a cavallo, recaronsi al Palazzo
della Principessa, ed egli, seguito da’ suoi, salì all’appartamento
di sua figlia, a cui disse:
— Scirina, veniamo a pregarvi d’intercedere presso
il Profeta per un uomo che si è attirato il suo sdegno.
— So cosa è, o signore, — gli rispose la Principessa
— Maometto me ne ha parlato.
Tutti i ministri e gli altri rimasero convinti che quella
era moglie del Profeta, e prosternandosi a lei dinanzi,
umilmente la supplicarono a pregarmi in [38] favore del
cortigiano ferito: il che essa loro promise.
Nel frattempo mangiai tutto ciò che aveva di vettovaglie,
e siccome non mi restava più denaro, così il Pro-
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feta Maometto incominciava a non saper più dove batter
la testa. Immaginai allora un espediente: — Principessa
— dissi una notte a Scirina — abbiamo dimenticato di
osservare nel nostro matrimonio una formalità: Voi non
mi deste dote, e questa ommissione mi fa pena. Basterà
che mi diate alcuno dei vostri gioielli, sola dote ch’io vi
domandi.
Scirina voleva caricarmi di tutte le sue gemme, ma
io mi contentai di prendere due grossi diamanti, che il
giorno appresso vendetti a un gioielliere.
Era già quasi un mese che passando pel Profeta menava
una vita piacevolissima, allorché capitò nella città
di Gazna un Ambasciatore che veniva da parte di un Re
vicino a chiedere Scirina in matrimonio.
— Mi duole — rispose Bahaman — di non poter accordare
al re vostro signore mia figlia, avendola data in
isposa al Profeta Maometto!
L’Ambasciatore, da tale risposta del Re, argomentò
che fosse divenuto pazzo.
Prese congedo, e ritornò al suo Signore, che alla prima
credette che quello avesse perduto il senno; poi imputando
il rifiuto a disprezzo, fu punto, e chiamate alquante
truppe, formò un grosso esercito, col quale entrò
nel regno di Gazna.
Questo Re chiamavasi Cacem, ed era più forte di
Bahaman; il quale dall’altra parte si preparò così lenta-
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mente a ricevere il nemico, che non gli poté impedire di
fare grandi progressi.
Intanto il Re di Gazna, informato del numero e del
valore dei soldati di Cacem, incominciò a tremare, e radunato
il suo consiglio, il cortigiano fattosi male cadendo
da cavallo, parlò in questi termini:
— Io stupisco che il Re dimostri in questa occasione
tanta inquietudine. Qual danno, tutti i Principi del mondo
insieme uniti, possono mai cagionare al suocero di
Maometto?
— Avete ragione; al gran Profeta appunto io devo rivolgermi.
Ciò detto andò a trovare Scirina, a cui disse:
— Figlia, appena domani spunterà la luce del giorno,
Cacem ci deve assalire, e temo non isforzi i nostri
trinceramenti; vengo dunque a pregar Maometto di volerci
aiutare.
— Signore — rispose la principessa — non sarà [39]
troppo difficile interessare alle nostre parti il Profeta: egli
disperderà ben presto le truppe nemiche, ed a spese di
Cacem impareranno a rispettarvi tutti i Re del mondo!
— Intanto — riprese il Re — la notte si avanza, ed il
Profeta non comparisce: ci avrebbe egli abbandonati?
— No, padre mio — ripigliò Scirina — non crediate
che egli ci possa mancare nel bisogno. Ei vede dal cielo,
dov’è l’esercito che ci assedia, e forse sta già mettendovi
il disordine ed il terrore.
64
Era infatti ciò che Maometto aveva voglia di fare.
Osservate, nel corso del giorno, di lontano, le schiere
di Cacem, ne avevo notata la disposizione, e preso sopratutto
di mira il quartiere del Re. Raccolti quindi molti
ciottoli grandi e piccoli, ne riempii la cassa, e sollevandomi
verso mezzanotte nell’aria, m’inoltrai verso le tende
di Cacem, tra le quali distinsi quella in cui il Re riposava.
Tutti i soldati che trovavansi attorno alla tenda dormivano
il che mi concesse di scendere, senza che alcuno
mi scorgesse, sino ad una finestra, d’onde vidi il Re coricato
sur un sofà.
Uscii mezzo dalla mia cassa, e scagliando a Cacem
un gran sasso, lo colpii in fronte ferendolo gravemente.
Egli sentendosi colpire mandò un alto strido, che subito
destò le guardie e gli ufficiali, i quali accorsi dal
Principe, lo trovarono coperto di sangue e quasi senza
sentimenti.
Intanto io mi sollevai sino alle nubi, lasciando cadere
una grandine di pietre sulla tenda reale e nelle vicinanze.
Allora il terrore s’impadronì dell’esercito; i nemici
di Bahaman, colti da terrore, si diedero alla fuga con tal
furia, che abbandonarono equipaggi, tende, e ogni cosa
gridando:
— Siam perduti! Maometto ci stermina tutti quanti.
Il Re di Gazna restò assai sorpreso allo spuntar del
65
giorno, quando si avvide che il nemico si ritirava. Si
diede dunque a perseguitarlo co’ suoi migliori soldati, e
fatta strage dei fuggitivi, raggiunse Cacem, la cui ferita
gl’impediva di correre prestissimo.
— Perché — si fece a dirgli — sei venuto contro
ogni ragione e diritto ne’ miei stati? Quale motivo ti ho
dato di farmi guerra?
— Bahaman — gli rispose il Re vinto — io mi [40]
immaginava che tu mi avessi negata la figlia per dispetto,
e io ho voluto vendicarmi! Non potevo credere che il
Profeta ti fosse genero: ma ora però non ne dubito, perché
egli solo fu quello che mi ferì.
Bahaman cessò di perseguitare i nemici, e tornò a
Gazna, con Cacem, il quale morì della sua ferita.
In tutte le moschee si fecero preghiere per ringraziare
il cielo di aver confusi i nemici dello Stato, e quando
fu notte, il Re si recò al palazzo della Principessa.
— Figlia — le disse — vengo a render grazie al Profeta
di quanto gli debbo.
Presto ebbe il contento che bramava, ché subito entrai
per la solita finestra nell’appartamento di Scirina.
Gettandosi subitamente a’ miei piedi, il Re baciò la
terra dicendo:
— O gran profeta! non vi sono termini, per esprimervi
tutto ciò che provo.
66
Sollevai Bahaman e lo baciai in fronte dicendogli:
— Principe, voi poteste pensare che io vi negassi
l’aiuto mio nell’impaccio nel quale per mio amore voi
vi trovate: ho punito l’orgoglioso Cacem, che voleva
rendersi padrone de’ vostri Stati, e rapire Scirina, per
metterla tra le schiave del suo Serraglio.
Nuovamente assicurato il Re di Gazna che io prendeva
sotto la mia protezione il suo regno se n’andò per
lasciarmi Scirina in libertà.
La qual Principessa non meno sensibile del Re suo
padre all’importante servigio da me reso allo Stato, me
ne dimostrò non minore riconoscenza, facendomi mille
carezze. Poco mancò che quella volta non dimenticassi
le mie parti: già stava per apparire il giorno allorché tornai
alla mia cassa.
Due giorni dopo, sepolto Cacem, il Re di Gazna, ordinò
che si facessero per la città grandi allegrezze, tanto
per la disfatta delle truppe nemiche quanto per celebrare
solennemente il matrimonio della principessa Scirina
con Maometto.
M’immaginai di dover segnare con qualche prodigio
la festa che si facea in onor mio, e a tale effetto, comprata
della pece, con dei semi di cotone ed un piccolo
acciarino, passai la giornata nel bosco a preparare un
fuoco d’artificio, bagnando il seme di cotone nella pece,
e la notte, mentre il popolo divertivasi nelle strade, mi
trasferii sopra la città, inalzatomi più alto che mi fosse
67
possibile, accesi la pece, che colla grana [41] fece un
bellissimo effetto: poi ritornai nel mio bosco.
Fatto dopo poco giorno, andai alla città per avere il
piacere di udir cosa si direbbe di me. Mille discorsi stravaganti
si facevano dal popolo sul tratto ch’io gli aveva
giuocato. Tutti quei discorsi mi divertirono infinitamente:
ma ohimè! mentre mi prendeva quel piacere la mia
cassa, la mia cara cassa, l’istrumento de’ miei prodigii,
vidi che ardeva nel bosco!
Probabilmente durante la mia assenza s’appiccò alla
macchina una scintilla, della quale non mi era avveduto,
la consumò, sì che al ritorno la trovai tutta in cenere.
Eccheggiò il bosco delle mie grida e de’ miei lamenti e
invano mi strappava i capelli e mi lacerava le vesti....
Intanto il male era senza rimedio; bisognava prendere
una risoluzione, né me ne restava che una sola: quella
cioè di andare a cercar fortuna altrove. Così il Profeta
Maometto, si allontanò dalla città di Gazna.
Incontrai tre giorni dopo una grossa carovana di
mercanti del Cairo che tornavano in patria; mi mischiai
con essi, e recatomi al gran Cairo, mi posi a esercitare la
mercatura. Girai molti paesi e visitai non poche città,
sempre ricordandomi del mio felice passato. Finalmente
invecchiato, capitai fin qua, imbattendomi nell’infelice a
cui tu, o gran principe de’ Genii, volevi toglier la vita.
Il Genio, non appena n’ebbe udito la fine, accordò
l’ultimo terzo della grazia del mercante, e poscia disparve.
68
Il mercante non mancò di rendere a’ suoi tre liberatori
le grazie che loro doveva, e se ne tornò presso la sua
sposa e i suoi figli, e passò tranquillamente con loro il
resto de’ suoi giorni.
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