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La magia dei desideri realizzati, non è utopia, non sono loro a non esistere, ma siamo noi che li blocchiamo smettendo di crederci. (Ejay Ivan Lac)
 
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 STORIA DEL SECONDO VECCHIO E DE’ DUE CANI

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Asineth
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MessaggioTitolo: STORIA DEL SECONDO VECCHIO E DE’ DUE CANI   STORIA DEL SECONDO VECCHIO E DE’ DUE CANI Icon_minitimeDom Gen 10, 2016 4:23 pm

STORIA DEL SECONDO VECCHIO E DE’ DUE CANI Images?q=tbn:ANd9GcQi8Yl6D46PVxwXJfvhrQzkqIddTABux7XHfhHd6P1hzRCpznKwwg
— Gran principe dei Genii noi siamo tre fratelli,
questi due cani, ed io. Nostro padre lasciò morendo a
ciascuno di noi mille zecchini. Con questa somma abbracciammo
tutti e tre la stessa professione, e ci facemmo
mercanti. Poco tempo dopo aver aperto bottega, mio
fratello maggiore, uno di questi due cani, risolvette di
viaggiare e di andar negoziando in paese straniero. Partì
e rimase assente un anno. Al termine di questo tempo un
povero, che mi parve cercar l’elemosina presentossi alla
mia bottega, io gli dissi:
— Dio vi assista!
— E Dio vi assista ancor voi — egli mi rispose — è
dunque possibile che non mi riconosciate più?
Allora fissandolo con attenzione lo riconobbi.
— Ah! mio fratello — esclamai abbracciandolo —
come avrei potuto riconoscervi in questo stato?
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Lo feci entrare in casa, gli domandai contezza de’
suoi successi nel viaggio.
— Non mi fate questa domanda — mi disse — mirandomi
vedete tutto.
Esaminai i miei registri di compra e vendita, e trovando
che aveva raddoppiato il mio capitale, cioè che io
era ricco di duemila zecchini, gliene donai la metà.
«Con questo, fratel mio, gli dissi, potrete dimenticare la
perdita fatta.» Egli accettò i mille zecchini con gioia, ristabilì
i suoi affari, e vivemmo insieme, come eravamo
vissuti prima.
Qualche tempo dopo, il mio secondo fratello, ch’è
l’altro di questi due cani, partì egli pure ritornando dopo
aver sciupato quanto possedeva. Lo feci rivestire, e
come aveva cresciuto il mio capitale di altri mille zecchini,
glieli donai. Rimise bottega, e continuò ad esercitare
la sua professione.
Un giorno i miei due fratelli vennero a propormi di
fare un viaggio e di andare a trafficare con essi. Rigettai
da principio il loro progetto. Ma essi ritornarono tante
volte ad importunarmi, che dopo avere per cinque anni
resistito costantemente alle loro sollecitazioni, alfine mi
vi arresi...
Quando bisognò fare i preparativi del viaggio e [29]
comperare le mercanzie di cui avevamo bisogno, si trovò
ch’essi avevano mangiato tutto. Io non mossi loro il
minimo rimprovero: e come il mio capitale era di seimila
zecchini, ne divisi con essi la metà, dicendo loro:
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— Fratelli, bisogna rischiare questi tremila zecchini
e nascondere gli altri in qualche luogo sicuro.
Io diedi nuovamente mille zecchini a ciascuno di
loro, ne tenni per me altrettanti, e nascosi le altre migliaia
in un angolo della mia casa. Comprammo delle mercanzie
del paese per trasportarle e negoziarle nel nostro.
Mentre eravamo pronti ad imbarcarci per il ritorno, incontrai
sul lido del mare una donna meschinamente vestita.
Essa mi si avvicinò, mi baciò la mano e mi pregò
di torla per moglie e d’imbarcarla con me.
Io mi lasciai vincere. Le feci fare degli abiti convenevoli,
e dopo averla sposata l’imbarcai con me e sciogliemmo
le vele.
Durante la nostra navigazione, trovai sì belle qualità nella
donna che aveva presa, ch’io l’amava ogni giorno di più.
Intanto i miei fratelli, che non avevano fatti i loro affari
così bene come me, ed erano gelosi della mia prosperità,
mi portavano invidia.
Il loro furore giunse fino a farli cospirare contro la
mia vita.
Una notte, nel tempo che la mia sposa ed io dormivamo,
ci gettarono nel mare.
Mia moglie era Fata, e per conseguenza Genio: dunque
ella non si annegò. Per me è certo che senza il suo
soccorso sarei morto: non appena caddi nell’acqua essa
mi rilevò, e trasportommi in un’isola.
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Quando fu giorno la Fata mi disse:
— Vedete, marito mio, che salvandovi la vita, non vi
ho mal compensato del bene che mi avete fatto. Sappiate
che io son Fata. Voi m’avete trattata generosamente,
ed io son lieta di aver trovata l’occasione di mostrarvi la
mia riconoscenza. Ma sono tanto irritata contro i vostri
fratelli, che non sarò mai soddisfatta se non avrò tolto
loro la vita.
Io ascoltai con ammirazione il discorso della Fata, e
la ringraziai della generosità che mi aveva usata.
— Signora — le dissi — per ciò che riguarda i miei
fratelli vi prego di perdonarli. Pensate che sono miei fratelli,
e che bisogna render bene per male.
Con queste parole acquietai la Fata: e quando le [30]
ebbi pronunziate, essa mi trasportò in un istante dall’Isola
dove eravamo, sul tetto della mia casa, che era a
terrazzo, e un momento dopo disparve.
Io scesi, aprii le porte, e dissotterrai i tremila zecchini
che aveva nascosti. Quindi andato alla piazza ove era
la mia bottega l’aprii, e ricevetti da’ mercanti miei vicini
molti complimenti sul mio ritorno.
Quando vi entrai vidi questi due cani neri che vennero
ad incontrarmi con aria sommessa. Io non sapeva
che significasse tutto ciò. Ma la Fata che subito mi apparve,
me lo spiegò.
— Sposo — mi disse — non siate sorpreso di veder
questi due cani presso di voi; essi sono i vostri due fratelli.
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Io fremetti a queste parole, e le domandai per qual
potenza si trovavano in quello stato.
— Son io che li ho cangiati, o per dir meglio fu una
delle mie sorelle, alle quali ne diedi la commissione, e
che nello stesso tempo ha calato a fondo il loro vascello.
Voi perdeste le mercanzie che vi avevate, ma io vi compenserò
altrimenti. Riguardo ai vostri fratelli io li ho
condannati a star dieci anni sotto questa forma.
Finalmente, dopo avermi insegnato ove potrei avere
sue notizie, disparve.
— Adesso che i dieci anni sono compiuti io sono in
cammino per andarla a cercare: e come passando di qui
ho incontrato il mercante ed il buon vecchio che conduceva
la cerva, mi sono arrestato con essi.
Ecco la mia storia, o principe dei Genii: non vi sembra
delle più straordinarie?
— Ne convengo — rispose il Genio — e rimetto
perciò al mercante il secondo terzo del delitto di cui si è
reso colpevole verso di me.
Tosto che il secondo vecchio ebbe terminata la sua
storia, il terzo prese la parola, e fece al Genio la stessa
domanda de’ due primi: cioè a dire di rimettere al mercante
l’altro terzo del suo delitto, allorquando l’istoria
che aveva da raccontargli sorpassasse in avvenimenti
singolari, le due che avea intese.
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