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La magia dei desideri realizzati, non è utopia, non sono loro a non esistere, ma siamo noi che li blocchiamo smettendo di crederci. (Ejay Ivan Lac)
 
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 Il facchino di Baghdad, le tre sorelle e i tre monaci

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Asineth
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MessaggioTitolo: Il facchino di Baghdad, le tre sorelle e i tre monaci   Il facchino di Baghdad, le tre sorelle e i tre monaci Icon_minitimeDom Gen 04, 2015 12:58 pm

Durante il regno del califfo Hārūn al-Rashīd, un facchino proveniente dalla colorita città di Baghdad, incontra una fanciulla misteriosa che lo invita a seguirla nelle sue compere di spezie, droghe e sete pregiate, per poi invitarlo nella sua casa. Sulla porta vi è una curiosa iscrizione: “Non rivolgeteci domande riguardo affari che non sono vostri, se non vorrete pagarne le conseguenze con azioni che non vi piaceranno!” All'interno della casa vi abitano altre due persone: Sofia e Amina e la terza è Zobeida, tutte legate da un particolare destino. Il facchino viene invitato a ristorarsi e di seguito a lasciare la casa, sebbene questi chieda di rimanere ancora un po’ per dilettare le signore. Le tre fanciulle accettano di buon grado e passano l'intera serata a cantare, ballare e a far ubriacare il facchino. Di seguito alla porta bussano tre monaci, tutti ciechi dall'occhio destro, che chiedono ospitalità. Poco dopo ancora arrivano anche il califfo Hārūn al-Rashīd e il suo seguito: Jafar e Masrur. I nobili signori, spacciandosi per mercanti, si fanno ospitare in casa e continuano con gli altri quattro invitati il banchetto, sempre venendo invitati dalla padrone a rispettare l'epitaffio della porta. Successivamente una delle signore porta in sala due cagne che frusta selvaggiamente per poi ricondurle nella loro stanza e di seguito si mette a suonare un liuto. Anche Zobeida e Amina prendono lo strumento e lo usano a più non posso, finché Amina non crolla a terra svenuta. Nella caduta le si copre un seno, gravemente mutilato e cicatrizzato, allora i commensali ardiscono dal desiderio di sapere quale segreto celasse quella casa. Zobeida, alla quale è stata posta la richiesta, s’infuria in quanto gli ospiti non hanno rispettato l'epigramma e chiama dei servi con la sciabola. Il facchino riesce a riscattarsi con una breve e divertente storia, mentre i monaci insistono nel raccontare le loro, assi più intriganti e favolistiche della prima

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Storie dei tre monaci


Il primo monaco era un nobile, figlio di un nobile califfo, presto deposto da un visir che purtroppo lo odiava. Infatti il giovane senza volerlo lo aveva accecato all'occhio destro con una freccia. Il principe era inoltre molto amico del cugino il quale possedeva un terribile segreto che non voleva confidare a nessuno. Propose solo al principe di aiutarlo nel farlo entrare in un sepolcro che conduceva ad un'enorme sala sotterranea per consumare i suoi rapporti incestuosi con la sorella. Il principe, come si è detto, non sapeva nulla di ciò e appena tornò a palazzo fu fatto catturare dal visir suo nemico che lo acceca all'occhio destro. Tornato al palazzo dello zio, ormai senza più persone su cui porre fiducia, il principe gli comunica lo strano segreto del cugino riguardo al sepolcro. I due si avventurano di notte nel cimitero e scoprono la sala segreta e un letto dove giacciono i cadaveri congiunti dei due amanti. Il padre del ragazzo, anziché commuoversi, infierisce brutalmente sul cadavere maledicendolo. Qualche giorno dopo viene sconfitto anche l'ultimo califfo dalla potenza del visir e al principe superstite non restò che darsi alla fuga, spacciandosi per monaco. Giungendo di notte a Baghdad, egli incontrò altri due monaci non vedenti dall'occhio destro e bussò alla porta delle tre signore.

Il secondo monaco, anch’egli figlio di un nobile, fu privato di tutti i suoi beni durante un viaggio per l'India. Giunto in una città sconosciuta, molto ostile al governo del sultano suo padre, il principe, sebbene molto erudito e bravissimo nella scrittura, fu costretto a lavorare come taglialegna e un giorno scoprì una botola che portava ad una sala segreta e sontuosa nella quale era tenuta prigioniera da un genio crudele una principessa stupenda. Il giovane passa con lei quattro giorni felicissimi, dato che il quinto se ne sarebbe dovuto andare perché giungeva come ogni settimana il genio, tuttavia proprio la sera del quarto, i due si ubriacano troppo perdendo il senno. Infatti il principe rompe con un calcio il talismano che evocava il genio e poi fugge, lasciando la donna in preda al mostro che la percuote a sangue. Il principe non si dà pace, anche perché aveva lasciato nella stanza le pantofole e la scure da taglialegna, e così un giorno mentre era impegnato nei suoi affari, giunse il genio che lo condusse volando dentro la stanza, ove giaceva in fin di vita la principessa. Il genio, per testare se i due fossero veramente amanti, offre sia al primo che alla seconda la possibilità di uccidere l'altro con la scure, ma gli innamorati si rifiutano disgustati. Questa è la prova del loro amore e così il genio fece a pezzi la principessa e voleva vendicarsi anche sul principe che, cercando di commuoverlo, gli raccontò una breve storia.

Tanto tempo fa in una città vivevano due persone, solo che il primo odiava l'altro perché invidioso delle sue opere. L'invidiato col tempo divenne ricco e famoso e così l'invidioso tentò di ucciderlo scaraventandolo in un pozzo, ma questi si salvò grazie all'aiuto di una fata che gli comunicò come entrare nelle grazie di un sultano che stava portando nel monastero, dove l'invidiato risiedeva, la figlia posseduta da un genio. Il monaco, uscendo dalla fossa, guarì la principessa dal male e se la sposò, diventando così successore del califfo. A palazzo il califfo un giorno decise di convocare l'invidioso e gli donò soldi e stoffe, perdonandolo del torto subito e facendogli promettere che non lo avrebbe assillato più.

Tuttavia il genio non si commosse a questa storia e tramutò in scimmia il principe, abbandonandolo nel deserto. Scorta una nave di pescatori, la scimmia si avvicinò al capitano, dandogli dimostrazione delle sue abilità ed entrando in simpatia con lui. Sbarcati in una città ricca e fiorente, il capitano venne a sapere che lo scriba del sultano attuale era morto e che si stava trovando un successore; la scimmia, essendo erudita, prese un foglio e cominciò a scrivere dei versi, garantendosi il posto sicuro a corte del sultano. Il nobile, rendendosi conto delle capacità intellettive della scimmia, quasi paragonabili a quelle umane, decise di convocare anche la figlia per farla assistere a quello spettacolo. La ragazza, essendo una maga, appena vede la bestia subito si accorge che la scimmia era un umano vittima di un sortilegio e così invoca il genio malvagio con cui ingaggia una furiosa lotta.


Storia delle sorelle Zobeida, Amina e Sofia
I due duellanti si tramutano in varie bestie ed oggetti, finché il demone non perisce sotto i poteri della maga. Durante la lotta furiosa era accaduto che il genio si era tramutato in fuoco e che, sputando fiamme contro la maga, alcune scintille avevano incendiato un servo e accecato la scimmia all'occhio destro. Morto il demone, la principessa ritramuta in umano la scimmia, ma compiendo questo sacrificio prende fuoco e muore. Il sultano, tremendamente addolorato per la perdita, caccia via il principe cieco che, radendosi la barba e i capelli, si fa monaco, giungendo a Baghdad e incontrando gli altri due.

Agìb è il terzo monaco, figlio del sultano Cassìb. Questi, volendo fare un lungo viaggio per conoscere i suoi possedimenti presso le piccole isole confinanti dell'India, giunse nelle vicinanze di un grande scoglio magnetico chiamato Montagna Nera. Infatti la pietra risucchiò a sé tutti i chiodi della nave, facendola naufragare e facendo salvare solo Agìb che fu preso in custodia da un vecchio. L'uomo vegliardo gli rivela come salvarsi da quel posto, uccidendo un cavaliere di bronzo e attendendo l'arrivo di una nave che lo avrebbe condotto nella sua terra; durante la traversata però non avrebbe dovuto rivolgersi a Dio. Il principe obbedisce e compie tutto ciò che gli era stato assegnato, tranne ringraziare Dio verso il termine della navigazione. Trovatosi improvvisamente in una landa sconosciuta, Agìb nota che una processione condotta da un vecchio scava una fossa sotterranea, deponendovi all'interno un ragazzo di 15 anni. Il giovane è il figlio del sultano attuale, colto da una terribile maledizione: infatti sarebbe stato ucciso poco tempo dopo la caduta dallo scoglio del cavaliere di bronzo, per questo veniva confinato in un palazzo sontuoso sotto terra. Agìb, curioso di scoprire chi fosse il giovane, entrò nel palazzo dove strinse una forte amicizia con il ragazzo che gli confidò la spaventosa profezia.

Agìb, non rivelandosi, promise che lo avrebbe protetto, ma un giorno senza volerlo lo pugnala al cuore inciampando; Agìb era stato solo pregato dal giovane di dargli il coltello del pane perché aveva fame e questi nella fretta era caduto trafiggendolo. Sconvolto dall'azione orrenda, Agìb abbandona l'isola e giunge nella sua terra indiana dove il sultano, padre del ragazzo, sta piangendo la sua morte assieme ad altri dieci giovani ciechi tutti dall'occhio destro. Il principe si unisce al loro pianto, non confidando loro il segreto, e un giorno, sebbene avvertito di non farlo, chiede il motivo di una loro strana usanza di compiangere i morti e pentirsi delle disgrazie. Questi mandano Agìb su un'altura dove si erge un bellissimo castello d’oro e di marmo pieno di pietre preziose ove risiedono 40 fanciulle stupende e profumate. Le ragazze sono proprietarie del castello e delle sue 100 porte segrete, in particolare quella d’oro, ed accolgono Agìb trattandolo on molta cura e molto amore. Passato un anno in compagnia delle fanciulle, Agìb viene informato da loro di doversi immediatamente allontanare del podere per tornare nel loro castello governato da sultano loro padre, solo per 40 giorni. Al principe viene affidata la custodia del castello incantato e delle porte, tranne la centesima d’oro, sebbene avesse la chiave, altrimenti non avrebbe più rivisto le fanciulle. Agìb obbedisce e scopre i segreti stupendi di tutte le 99 porte: giardini, frutteti e gabbie di animali esotici di ogni specie: dalle tigri ai pavoni variopinti; ma un giorno la curiosità è troppa per lui e così Agìb apre anche la porta d’oro. Ne esce fuori un magnifico cavallo nero che, appena montato, si erge in volo per tutta la zona e fermandosi sul palazzo dei dieci giovani piangenti, accecando all'occhio destro Agìb con la coda. Venendo scacciato così dai ragazzi e dal vecchio, il principe si fece monaco e giunse a Baghdad, incontrando gli altri monaci.

Gran parte del racconto del secondo monaco e la prima del terzo hanno ispirato la sceneggiatura di una parte del film Il fiore delle Mille e una notte, diretto da Pier Paolo Pasolini.

Avendo avuto tutti e sette il permesso da Zobeida, Amina e Sofia di lasciare sani e salvi la loro casa, il sultano il giorno seguente decise di ascoltare anche le storie del passato delle tre fanciulle, convocandole a palazzo. Il compito di scortarle fu affidato a Jafàr.

Storie di Zobeida e di Amina



Nella loro famiglia in tutto le ragazze sono cinque sorelle, tre nate dalla prima moglie del padrone di casa (ovvero Sofia, Amina e Zobeida) e le altre due (le cagne) dalla seconda moglie.

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Nel racconto di Zobeida le due sorelle ultimogenite erano state entrambe ripudiate dai rispettivi mariti e così con la prima decisero di fare un viaggio verso l'India, cercando di far fortuna. Giunte su una città all'apparenza fiorente, Zobeida, scesa per prima, non aspettò le altre sorelle e si avventurò da sola. Ogni persona che incontrava era pietrificata e così anche il re e la regina. Tuttavia il palazzo regale in cui Zobeida era entrata istigò la sua curiosità, dato che era stupendo e ricco di varie pietre preziose. Quella notte non essendo Zobeida ancora uscita dal palazzo, scoprì un giovane principe seduto vicino ad una nicchia intento a leggere il Corano e così decise di manifestarsi a lui, chiedendogli il motivo di tanta solitudine in quella città. Il principe affermò, presentandosi, di essere l'unico sopravvissuto all'ira di Allah, dato che suo padre aveva promosso la venerazione di un falso dio padrone del fuoco e non essendosi nessun cittadino convertito sebbene i numerosi richiami dell'unico dio esistente sull'Universo. I due passano un'interna nottata a conversare e così s’innamorano. Il giorno seguente Zobeida e il principe decidono di sposarsi, ma prima Zobeida doveva ritornare a Baghdad per sbrigare alcune faccende, possedendo lei un intero magazzino di mercanzie. Le sorelle, invidiose dei loro matrimoni non riusciti, gettano in mare di notte sorella e principe. Quest’ultimo muore, ma Zobeida riuscì a salvarsi nuotando verso un'isola sulla quale vivevano due serpenti enormi. Il secondo, più grosso del primo, mordeva in continuazione la sua coda e così Zobeida, afflitta da tanta crudeltà, scacciò il più grande con una pietra. Allora il serpente si tramutò in fata, riportando a Baghdad Zobeida e affidandole due cagne, sue sorelle, facendole promettere che le avrebbe frustate ogni sera per non fare la loro stessa fine.

Amina ebbe un destino forse meno crudele, ma ugualmente spietato. Essendo una delle donne più ricche di Baghdad, le venne presentata una richiesta di matrimonio con uno sconosciuto all'apparenza di umili origini. Amina celebrò le nozze con lui e questi le fece promettere che non avrebbe parlato d’ora in poi mai più con nessun altro uomo. Amina promette ma un giorno, recatasi al mercato, viene avvicinata da un venditore di stoffe pregiate che le propone un patto: la migliore seta per un bacio sulla guancia. Sfortunatamente il mercante, essendo un uomo rude e crudele, la ferisce alla guancia e fugge via, lasciandola sconvolta a terra e sanguinante. Tornata a casa il marito si accorge dell'incidente ed esige sapere cosa fosse accaduto. Al diniego di Amina, l'uomo minaccia di ucciderla, finché le suppliche della serva non gli fanno cambiare idea; l'uomo prende una frusta e scarnifica il seno di Amina, abbandonandola al suo destino per strada.

Il califfo Hārūn al-Rashīd, addolorato per il destino delle due donne, invoca la fata di Zobeida, supplicandola di cambiare il destino delle due infelici; lo spirito acconsente ritrasformando in umane le due cagne e dandole in spose con Sofia ai tre monaci, guarendo il seno di Amina e facendola ricongiungere con il suo sposo, che si rivelerà essere il figlio del califfo, ed infine lui per ultimo sposando Zobeida.
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